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| Hermione Messners A veva ballato, ballato e ballato ancora. Lo aveva fatto per diversi motivi, primo dei quali cercare di mettere ordine nella propria mente. Aveva molti dubbi che come granelli di polvere accumulatisi con il passare degli anni erano tornati a farsi notare dall'occhio attento e dall'entrata di alcuni raggi di sole nella stanza della sua anima.Quello che era successo in sole due settimane andava contro ogni regola e piano che aveva sempre imposto e fatto crescendo. Aveva baciato, più volte, un ragazzo. Non si trattava di un ragazzo qualsiasi, si trattava di un ragazzo che probabilmente l'avrebbe fatta soffrire in futuro ma la cui assenza in quel preciso momento sembrava riuscire a farla sentire così vuota e povera. Caleb era un ragazzo del St.james, non era un umano normale, non era propriamente la persona più affidabile dell'isola, le ragazze lo avevano sempre dipinto come il bello e dannato del st.james, come quello capace di regalarti il mondo per una notte e trattarti con indifferenza la mattina seguente. Aveva paura, per questo era andata a ballare. Aveva indossato le sue scarpe preferite, una canotta sul biancoe ed un bìmaglioncino viola. Gli orecchini grandi a cerchio erano appesi ai lobi delle sue orecchie ed i capelli erano stati piastrati con cura. Aveva messo dell'eyeliner per rendere i suoi occhi ancora più felini e mettendo da parte, per una sera, la ragazza acqua e sapone che di solito era, aveva completato il make up con tonalità del viola e el nero, proprio i colori che indossava.Aveva passato la serata al Contemporaneo, un locale al centro di Harris dove ballerini professionisti e no si incontravano ogni settimana, per sfidarsi o semplicemente per divertirsi. Lei c'era andata per divertirsi e per cercare una risposta che però non aveva trovato. le capitava spesso, riflettendoci, le capitava spesso di scappare. Scapava quando vedeva all'orizzonte la possibilità di un legame, forse perchè ancora non riusciva a vedersi all'altezza delle aspettative dell'altra persona o, semplicemente per paura di riuscire a rovinare tutto ancora prima che fosse nato qualcosa di concreto. Dovevano essere più o meno le due del mattino. Il cielo era più nero della morte e le stelle sembravano non essere pronte a mostrarsi quella sera. Stava camminando con calma lungo il cortile estivo, aveva bisogno di aria, ancora. C'era una brezza freca che le muoveva i capelli e faceva tintinnare i suoi orecchini. Si inumidì il labbro inferiore addentrandosi nel porticato e dopo aver superato tre piccoli archi decise di mettersi a sedere su uno dei davanzali. Appoggiò le spalle alla colonna, le gambe distese lungo il davanzale e lo sguardo puntato verso il cielo.
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